Pensando a Tullio Seppilli

 

Prima che Tullio Seppilli se ne andasse, il 23 agosto di quest’anno, pensavamo di essere in qualche modo preparate ad affrontare questo lutto. Stava male da tempo e negli ultimi mesi i nostri contatti si erano progressivamente ridotti, a causa della malattia che ne impediva i movimenti e lo costringeva a casa. Poi la notizia della sua morte. E il senso della perdita è arrivato senza fare sconti.

Non è facile per noi – prima sue allieve all’Università di Perugia, poi sue collaboratrici presso la “Fondazione Angelo Celli per una cultura della salute”, di cui era Presidente dal 1993 – rendere conto di chi sia stato Tullio Seppilli e di cosa abbia rappresentato per la nostra storia di studentesse prima e di antropologhe impegnate nella professione poi. E non è facile farlo nei giorni del lutto e del commiato.

Questo nostro contributo si aggiunge – timidamente, è il caso di dirlo – a quanto già scritto in questi giorni dai numerosi suoi allievi storici e da tutte le persone che nel tempo lo hanno conosciuto e hanno condiviso con lui buona parte della sua lunga storia. E proprio perché la vita e l’articolato e complesso lavoro di Tullio Seppilli, le sue direttrici di ricerca e le sue battaglie politiche vengono in questi giorni in vario modo e da più parti restituite, vorremmo qui raccontare dalla nostra prospettiva l’uomo, l’intellettuale, l’amico che abbiamo avuto l’onore di conoscere nell’ultima parte della sua esistenza.

Ciascuna di noi può senza alcun dubbio affermare che l’incontro con Tullio Seppilli abbia rappresentato il motivo di una scelta di vita. E’ per merito suo – o forse per sua “colpa”, e lo scriviamo col sorriso – che in vario modo abbiamo deciso di abbracciare l’antropologia come opzione di studio e di lavoro. Durante le sue lezioni, che da giovani studentesse seguivamo con avidità e passione, l’antropologia appariva fin da subito materia viva e palpitante, che forniva a tutte noi nuove chiavi di lettura per comprendere il mondo. Uscivamo dalle sue lezioni con “altri” occhi, la realtà che ci circondava appariva sotto una nuova luce; le sue parole sapevano suscitare in noi il desiderio di scoprire cosa si celasse dietro l’apparenza delle cose, sapevano richiamare la nostra attenzione su dettagli che fino a quel momento ci erano apparsi ovvi e scontati. Tullio Seppilli portava ogni suo studente ad immergersi nelle situazioni e nei contesti, lo incoraggiava ad assumere un atteggiamento indagatore che germinava lezione dopo lezione e che di fatto era destinato a non concludersi mai. Fin dalla prima volta che lo si ascoltava, si coglievano subito alcuni dei suoi tratti più significativi e che maggiormente lo caratterizzavano: la capacità di restituire, attraverso un linguaggio semplice e comprensibile, concetti profondamente complessi e, allo stesso tempo, la sua disposizione ad ascoltare l’opinione di ciascun giovane studente, dargli valore e utilizzarla come spunto di dibattito e riflessione critica. Un approccio, questo, che ha mantenuto con ciascun suo interlocutore, fino all’ultimo. E ancora, è grazie a Tullio Seppilli che, superando l’immagine dell’antropologia come scienza vocata a studiare prevalentemente contesti “altri” rispetto a quello di appartenenza del ricercatore, abbiamo fin da subito aperto gli occhi sul valore della disciplina come prezioso strumento per analizzare, studiare e comprendere il “nostro” stesso contesto sociale, in continuità con lo sviluppo di quella antropologia medica “at home” che ha caratterizzato larga parte delle tematiche  della Scuola di Perugia, di cui Seppilli è stato il fondatore a partire dagli anni ‘50.

A seguito del pensionamento, nel 1999 – al termine della sua lunga carriera di docente universitario e Direttore del Dipartimento Uomo & Territorio dell’Università di Perugia, già Istituto di etnologia e antropologia culturale da lui stesso fondato nel 1956 – Tullio Seppilli ha scelto di impegnarsi a tempo pieno nel suo ruolo di Presidente della “Fondazione Angelo Celli per una cultura della salute”, che il padre stesso – medico igienista, fondatore del “Centro sperimentale per l’educazione sanitaria”, figura di spicco nella vita politica perugina e strenuo sostenitore e promotore della riforma sanitaria italiana – aveva fondato nel 1987. Un nuovo percorso che lo ha visto impegnato, insieme a molti collaboratori e collaboratrici, nella realizzazione di numerosi progetti di ricerca, interventi operativi, formazione e dibattiti su moltissime tematiche (medicine non convenzionali, accesso ai servizi sanitari, rapporto tra migrazione e servizi, ambiente e salute, salute mentale, …). E queste attività, che di volta in volta sono state realizzate in partenariato con numerosi soggetti istituzionali nazionali e internazionali e finanziate da enti pubblici e privati, hanno permesso di operare – almeno fino ad oggi – in stretta relazione con il territorio e i suoi servizi. Sempre e comunque nel quadro dell’assioma che ha contraddistinto fin dall’inizio l’insegnamento di Seppilli: l’importanza del valore sociale dell’antropologia e la necessità di impiegare le sue metodologie di analisi per incoraggiare e avviare reali processi di cambiamento.

Per la maggioranza di noi, la Fondazione Celli ha rappresentato per oltre 15 anni il proprio luogo di lavoro, offrendo la possibilità di occuparsi di numerosi progetti, confrontarsi con figure professionali di diverso profilo e capitalizzare di anno in anno un’esperienza umana e lavorativa di cui saremo sempre e comunque grate. Il lavoro in Fondazione, poi, ci ha permesso di condividere con Tullio Seppilli la quotidianità; e così, il Tullio Professore conosciuto quando eravamo studentesse e divenuto per noi ben presto un Maestro, negli ultimi anni è stato anche l’Amico. Ciascuna di noi ricorda con un po’ di tenerezza la difficoltà, all’inizio delle nostre collaborazioni, a dargli del “tu”, come lui invece pretendeva. Perché Tullio credeva in una metodologia non gerarchica del lavoro, in cui tutte eravamo in qualche maniera poste in una posizione di parità e chiamate a contribuire senza timori reverenziali, nell’impegno di un progetto comune e dove il senso di appartenenza ad un gruppo diventava un elemento imprescindibile. D’altronde, coloro che di noi hanno lavorato per più tempo in Fondazione devono a Tullio proprio questo: aver compreso l’importanza del lavoro di gruppo ed averne fatto per molto tempo, in qualche modo, una metodologia di azione e addirittura una “filosofia di vita”. E al suo gruppo, come tutti i collaboratori e le collaboratrici di Tullio potranno testimoniare, chiedeva una costante dedizione, entro un quadro in cui, per certi aspetti, vita privata e lavoro erano da lui concepite come dimensioni profondamente connesse e sovrapponibili; più volte abbiamo sorriso insieme al ricordo della riunione che qualche anno fa tentò di fissare il 15 di agosto…

Tra noi non mancavano le occasioni di discussione, talora anche molto “vivaci”, su questioni che mettevano in campo le nostre differenti prospettive, anche di vita; e in questi casi il confronto era complesso e non sempre facile. Sicuramente appassionato. Numerosi erano anche i momenti di dialogo informale; come le chiacchiere intorno al tavolo per il consueto rito del caffè, che di fatto non erano mai soltanto “chiacchiere”. Erano anzi spazi di confronto sul dibattito politico contemporaneo, sulle nostre esperienze personali, sull’andamento delle attività della Fondazione. E rappresentavano anche occasioni in cui, talora distrattamente e quasi per caso, venivamo a conoscenza di suoi preziosissimi sprazzi di vita: la fuga dalle leggi razziali, gli anni della formazione in Brasile, la militanza nel Partito Comunista Italiano, gli incontri con Sartre e Pasolini, il suo rapporto con Ernesto de Martino. Giusto per fare qualche esempio.

Potremmo raccontare (ma solo a chi non lo abbia conosciuto personalmente!) del suo rigore e della sua precisione quasi ossessiva: nell’abitudine di fare copie cartacee di qualsiasi documento o appunto, per poi archiviare tutto meticolosamente; nella cura elegante di ogni particolare delle riviste e delle pubblicazioni che la Fondazione editava (dai testi alla grafica); nella  costante tensione verso una severa revisione della scrittura che lo teneva incollato alla scrivania per giorni, a correggere e perfezionare i suoi testi (atteggiamento questo che, peraltro, a torto o a ragione, ha inevitabilmente finito per condizionare anche noi).

Potremmo raccontare del modo ironico e divertente con cui sapeva commentare certi argomenti o situazioni; dei riti scaramantici che “da bravo antropologo”, come diceva lui, accompagnavano i discorsi sul dolore e sulla morte; della tenacia e del suo attaccamento alla vita e al lavoro che, anche quando il fisico iniziava ad abbandonarlo, lo spingevano ancora a viaggiare, a partecipare a convegni e seminari in giro per l’Italia e per il mondo, a rispondere a istanze e richieste, a proseguire in quella instancabile attività di formazione e divulgazione che considerava una vera e propria “missione” di vita.

E potremmo raccontare della sua generosità intellettuale: di quanto fosse disponibile e aperto nel condividere il suo pensiero, la sua analisi dei fenomeni, i suoi modelli di indagine e ad aiutarci a inserire le nostre intuizioni all’interno di quadri concettuali più ampi per trasformarle in chiavi interpretative. Il suo impegno civile e politico è culminato negli ultimi anni della sua vita proprio nella difesa e in una più precisa definizione dei “beni comuni”, a partire da un vivo dibattito che ha scandito per molto tempo parte del lavoro in Fondazione; le riflessioni cioè intorno al tema della salute intesa appunto come bene globale e indivisibile e diritto egualitario per tutti gli uomini. Tullio credeva fermamente, e potremmo dire “incarnava”, l’idea che la conoscenza è e deve rimanere un bene comune, accessibile e comprensibile a tutti: per questo non si risparmiava mai, né si negava a nessuno. Ogni telefonata, ogni lettera o email ricevuta assumeva per lui il peso di una responsabilità che mai declinava, ed era capace di dedicare intere giornate ad ogni suo interlocutore, senza alcuna distinzione tra persone di potere, perfetti sconosciuti o semplici curiosi. Interveniva con la stessa passione tanto nei contesti accademici quanto nei dibattiti di piazza o nei seminari aperti al pubblico, perché solo così sentiva di onorare il mandato del vero “intellettuale organico” di gramsciana memoria.

Per tutto questo e per molto altro ancora, l’Uomo, l’Intellettuale, il Maestro, l’Amico vero ci mancherà enormemente.

Carlotta Bagaglia, Sabrina Flamini, Michela Marchetti, Maya Pellicciari, Chiara Polcri

 

1 Comment
  1. angelica 7 anni ago

    Ricordo un viaggio epico come epico può essere l’incontro con un monumento dell’antropologia nazionale. Si andava da Castiglione del Lago a Perugia, il mio compagno e io con Tullio Seppilli davanti lato passeggero consapevoli, noi due, della delicatezza del compito: condurre a casa il professore, momentaneamente sprovvisto di passaggio, al termine di una lezione.
    Ricordo il senso di responsabilità -si guidava pianissimo. Era un uomo già vecchio ma di quella vecchiezza allegra, conscio delle molte fatiche fatte e le tante ancora da affrontare. Ricordo la modestia di chi sa che nulla si sa perchè tanto ma non tutto si è già conosciuto. E una sua risposta schietta a una domanda delicata. Ma questo è un segreto solo nostro.
    Se mi permette professore, un abbraccio.

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