Dall’etnografia riflessioni critiche sugli effetti ‘invisibili’ delle scelte istituzionali per il contenimento del contagio da COVID-19.

Presidiamo le soglie

Non tutti abbiamo una casa dove restare chiusi!

Nel corso del 2019 parte della mia attività professionale è stata dedicata al progetto PAS – Principi Attivi di Salute, con capofila CNCA –

Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza e CICA – Coordinamento Italiano delle Case Alloggio per persone con Hiv/Aids e Arcigay come partner. Tra le azioni realizzate nell’ambito del progetto, sono state svolte tre ricerche sociali parallele, che hanno visto coinvolti:

Oltre a dimostrare quanto possa essere utile l’approccio etnografico nella comprensione delle dinamiche sociali e nella formulazione di linee di indirizzo e intervento, questa ricerca mi fornisce anche alcuni spunti per intervenire criticamente sugli effetti che stanno avendo le scelte istituzionali volte al contenimento del contagio da COVID-19.

Durante questo bellissimo percorso, ho avuto il privilegio di conoscere gli operatori e le operatrici di diversi servizi di Riduzione del danno sul territorio nazionale. Con questa locuzione si identifica in via generale un approccio alla gestione dei danni correlati all’utilizzo di sostanze e ai comportamenti ad esso connessi. Gli operatori e le operatrici dei servizi di Riduzione del danno adottano un atteggiamento non giudicante e non hanno come obiettivo primario l’interruzione dell’utilizzo di sostanze. Attivati negli anni ’90, come risposta all’espandersi del contagio HIV, questi servizi hanno ancora una forte diffusione. Tra le prestazioni che offrono, oltre alla distribuzione di materiali informativi riguardanti il consumo delle varie sostanze, vi sono la distribuzione di presidi sanitari (siringhe, preservativi, etc.) nonché di naloxone per il primo soccorso dall’overdose di eroina, ma forniscono anche la possibilità di accesso a docce, lavanderie, banchi alimentari e distribuzione di abiti, nonché l’orientamento verso altri servizi. Questa particolare tipologia di servizi viene definita di “bassa soglia”, in quanto consente l’accesso a chiunque e in modo anonimo.

Tra i risultati della ricerca (per una trattazione esaustiva rimando al report conclusivo oppure, per una restituzione leggera, al volume recentemente pubblicato da CNCA,  PAS: principi attivi di salute 2017 ), è emerso in modo chiaro come drop in e centri diurni, nati per intercettare tossicodipendenti, abbiano negli anni ampliato il proprio bacino di utenza, complici una serie di trasformazioni che hanno riguardato in modo particolare le fasce più deboli della popolazione. A frequentare un drop in, oggi, sono homeless, migranti irregolari, richiedenti del codice di straniero temporaneamente presente o europeo non iscritto, tipologie diverse di consumatori (per condizione e fascia d’età), nonché persone con altre problematiche meno categorizzabili. A frequentare fino a poco tempo fa, sarebbe meglio dire; infatti, da qualche giorno a questa parte a Torino, la città in cui vivo, come in molte altre città italiane, tutti i servizi di questo genere sono sospesi.

La gestione dell’epidemia da COVID-19 ha impattato in modo particolare su questi soggetti troppo facilmente identificati attraverso la categoria di “senzatetto” (Vedi: Linkiesta – Coronavirus, l’emergenza tra i senzatetto: sono oltre 50.000 in Italia) e non solo in Italia o in Europa (Vedi:  Le Scienze – La minaccia del coronavirus per i senzatetto degli Stati Uniti): La minaccia del coronavirus per i senzatetto degli Stati Uniti. Si tratta purtroppo di una realtà molto più fluida, con esigenze che non si riducono a un pasto e un tetto. Non è solamente difficile rimanere a casa per chi una casa non ce l’ha, ma è impossibile lavarsi le mani regolarmente per chi non ha accesso nemmeno a una doccia alla settimana. Molte persone erano solite passare diverse ore della giornata nei locali messi a disposizione da questo tipo di servizi, cosa ora impossibile. Il senso di insicurezza è amplificato dall’idiozia dell’applicazione ottusa e indiscriminata delle sanzioni, nei confronti di chi viveva già in condizioni estremamente precarie.

Ad aggravare la situazione, si aggiunge il rischio sanitario futuro: la sospensione del servizio di scambio siringhe e di fornitura di materiale per la profilassi rischia infatti di tradursi in una proliferazione di TBC, epatiti e casi di positività all’HIV, senza contare i rischi correlati allo stesso COVID-19 in soggetti già immunodepressi.

Con la presente, invito tutti e tutte a prendere atto della gravità di questa situazione. Non vorrei trarre l’amara considerazione che, in un momento così delicato, tutta l’attenzione si concentri sul buon cittadino, quello con una casa, una famiglia e un reddito da mantenere, a spese di quelli che vengono definiti “invisibili”, o di coloro che balzano tristemente alle cronache solo quando la loro condizione supera l’umana sopportazione.

Di certo, come al solito, chi sta ai margini è il primo a fare le spese della superficialità delle nostre politiche.

Ivan Severi 14 Marzo 2020

Ivan Severi è Etnoantropologo professionista, ricercatore e presidente di ANPIA 

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