La società in provetta

Stiamo tutti sul... divano Divano bianco, con casco a simile a quello di Easy Rider a strisce sul bracciolo. Nella vetrina riflesso di persona con cane al guizaglio.

Interventi etnografici ai tempi del coronavirus

La malattia, oggi più che mai, mostra di essere fenomeno al contempo sociale, politico, economico e simbolico. Un “fatto sociale totale” che l’antropologia è abituata a descrivere e interpretare attraverso la prossimità, l’immersione, in due parole “l’esperienza etnografica”.

[…]  Apriamo questo spazio, una rubrica, che raccolga brevi scritti, testimonianze e riflessioni in modalità scritta e/o audio-visuale dei soci e delle socie di ANPIA e di coloro che, al di fuori dell’associazione, vogliano contribuire alla conoscenza e all’intervento concreto nelle situazioni di sofferenza sociale, al di là del virus.

La malattia, oggi più che mai, mostra di essere fenomeno al contempo sociale, politico, economico e simbolico. Un “fatto sociale totale” che l’antropologia è abituata a descrivere e interpretare attraverso la prossimità, l’immersione, in due parole “l’esperienza etnografica”.

Le limitazioni al movimento sembrano invece negare qualsiasi spazio per questo tipo di conoscenza: il distanziamento sociale si oppone alle pratiche di prossimità, il confinamento domestico impedisce di fatto la partecipazione attiva e la ricerca sui processi sociali negli ospedali, nelle scuole, nelle carceri, nei musei, nei centri di accoglienza per richiedenti asilo, nei campi nomadi, nei SERT, negli spazi dell’economia informale urbana e rurale (solo per richiamare alcuni dei contesti dove usualmente operiamo, che oggi ci sono interdetti).

Eppure, la vita sociale continua a scorrere, caricata però di nuove inquietudini e sofferenze, che necessitano oggi più che mai di essere documentate, monitorate, raccontate, ripensate anche a partire dall’intervento antropologico. Assistiamo, inoltre, ad un rischioso riduzionismo della malattia alla sola dimensione biologica (virale), intriso tra l’altro di una retorica mass e social mediatica che amplifica la rappresentazione del virus come nemico esterno contro il quale siamo chiamati retoricamente a combattere. Le reti parentali, i vicinati, le comunità amicali, che in altre occasioni di sofferenza sociale hanno prodotto implicite strategie di limitazione del danno, oggi non trovano occasioni di coinvolgimento, relegate alternativamente nel ruoli di malati-vittime, oppure di spettatori immobili, o peggio di minaccia involontaria. La retorica bellica, quindi, radicalizza la pur necessaria istituzionalizzazione dell’intervento, affidando alla bio-medicina in primis e alla scienza economica in secundis, il compito di aiutare la politica a prendere decisioni sull’intera società nazionale.

Pensiamo che la pratica etnografica e nello specifico la pratica professionale dell’antropologia, per quanto limitata dalla situazione, debba esercitare ancora la sua funzione analitica, critica, propositiva. Pensiamo anche che gli antropologi e le antropologhe professioniste possano in questa fase contribuire a documentare i processi sociali in atto, proprio perché la loro funzione sociale, tanto misconosciuta quanto concreta, li porta a essere ancora attivi sul “terreno” o comunque in stretto contatto con il vissuto di coloro che rischiano di essere dimenticati, perché già precedentemente ai margini della società e perché si ritrovano oggi maggiormente esposti. Apriamo pertanto uno spazio, una rubrica che raccolga brevi scritti, testimonianze e riflessioni in modalità scritta e/o audio-visuale dei soci e delle socie di ANPIA e di coloro che, al di fuori dell’associazione, vogliano contribuire alla conoscenza e all’intervento concreto nelle situazioni di sofferenza sociale, al di là del virus.

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