In Il Senso della Repubblica di gennaio, supplemento mensile alla rivista online Heos.it è stata intervistata la nostra socia Agostina Bua*, in cui parla anche di ANPIA

N.1 gennaio 2017 
di Maria Grazia Lenzi

L’antropologia e lo studio delle dinamiche demografiche 

In un contesto storico che ha perso l’odore dell’umanità, una riflessione sul nostro percorso evolutivo e sul nostro presente diviene importante soprattutto per le nuove generazioni. L’antropologia culturale è una disciplina poco praticata, assolutamente vocazionale che tuttavia diviene una summa fra passato e presente. Ringraziamo la Dott. Agostina Bua che ci ha concesso questa intervista e ci ha permesso di poter dialogare su argomenti di cui si percepisce l’essenzialità del valore profondo

 
1)Grazie innanzi tutto di averci concesso il piacere di questa conversazione. La prima curiosità che mi colpisce  riguarda la sua passione per una disciplina, l’antropologia, di cui pochi conoscono l’esistenza. Come ha iniziato i suoi studi e perché questa scelta esperienziale?

Quando ho finito il liceo, dopo un anno di limbo alla facoltà di veterinaria, ho capito di essere più portata per le materie umanistiche. Nel rivedere la scelta del percorso universitario mi sono indirizzata a lettere perché, al tempo in Sardegna, era l’unica facoltà che mi permetteva di scegliere il curriculum antropologico culturale. Il motivo che mi ha spinto è lo stesso che ancora oggi mantiene vivo il mio interesse per l’antropologia: mi da la possibilità di conoscere realtà diverse dalla mia e, al contempo, di sapere un po’ più di me e della cultura che mi ha formata. L’antropologia mi ha dato strumenti e modalità utili per leggere il mondo, la società ed i suoi cambiamenti con sguardo critico, ha incrementato la mia vocazione per lo studio e la conoscenza delle differenze.

Immagini del campo di Agostina Bua

Purtroppo, come afferma lei, è poco conosciuta, meno nota di altre discipline umanistiche come psicologia o filosofia. Sicuramente questo è dovuto al fatto che sia un insegnamento di nicchia: si studia all’università e solo in certi corsi di laurea. Nel dibattito pubblico la voce degli antropologi è poco nota o richiesta e spesso essi sono considerati soprattutto come teorici. Per cui se da un lato, talvolta, loro stessi si sono fossilizzati nella torre d’avorio dell’accademia, d’altra parte, la società non ha compreso il valore e l’utilità pratica della disciplina. L’antropologo non è solamente un teorico, così come dimostrano l’antropologia pubblica e l’antropologia applicata. È capace di portare sguardi e prospettive, di declinarli in modalità nuove nell’approccio pratico, in diversi ambiti: il mondo del sociale, la sanità, l’istruzione, l’educazione, la comunicazione, l’urbanistica, l’indagine qualitativa di mercato, oltre a quello classico dei beni culturali. Per fortuna le cose stanno cambiando: molti laureati in antropologia culturale si stanno prodigando per crearsi una professione e trovare legittimazione fuori dall’accademia. Quest’anno in Italia è nata ANPIA, associazione nazionale che promuove il riconoscimento della professione dell’antropologo culturale presso il Ministero dello sviluppo economico, a cui io stessa ho aderito, che testimonia il bisogno corale di rinnovamento interno e di riconoscimento sociale.
2) Credo che le nuove generazioni abbiano bisogno di riflettere in senso antropologico . Come crede che la sua disciplina possa sensibilizzare le nuove generazioni?

Credo che l’antropologia possa essere uno strumento valido per qualsiasi generazione, in qualsiasi contesto, perché offre la possibilità di affinare il proprio sguardo critico. È una disciplina che incentiva il decentramento e la scomposizione dello sguardo etnocentrico.

L’etnocentrismo è una pratica piuttosto comune ed innocua, se considerata sul piano dell’immaginario sociale, ma se il pregiudizio sfocia nella discriminazione diventa l’anticamera del razzismo. L’antropologia mette in luce gli aspetti salienti e i meccanismi cognitivi del punto di vista etno-centrato.

Sotto questo aspetto la disciplina antropologica può essere molto utile alle nuove generazioni che nello sviluppo tendono a fissare il pensiero critico in giudizi perentori. A mio parere l’attitudine al dubbio e la capacità di rivedere le proprie posizioni possono aiutare a sviluppare maggiormente il senso critico ed  agevolare la riflessione collettiva.

Penso che l’antropologia nel campo educativo possa offrire molti spunti e soprattutto molti strumenti. Attualmente in Italia si insegna solamente all’università e nei licei per le scienze umane come materia, ma io ritengo che sarebbe utile agli insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado. Non penso allo studio della scienza in sé o alla storia della disciplina, piuttosto all’uso della ricerca sul campo o dell’osservazione partecipante come strumenti privilegiati di analisi. Queste pratiche se declinate nel contesto scolastico e proposte agli studenti, con i dovuti accorgimenti didattici, si rivelano interessanti modalità utili alla riflessione critica e ad affinare l’osservazione e l’ascolto.

L’antropologia ha sviscerato, e continua a farlo, concetti quali cultura, relazioni sociali, diversità, ecc. che ben si prestano a stimolare discussioni. Penso anche all’utilità di leggere le materie classiche, come storia, geografia e letteratura, sotto la lente antropologica per mettere in evidenza l’interazione e lo scambio continuo tra gruppi sociali diversi e riflettere sul fatto che le differenze non sono altro che modalità alternative che l’uomo ha per rappresentarsi e raccontarsi.

immagine del campo

L’antropologia ha un grande potenziale educativo e oggi ci sono tante pubblicazioni che possono essere utili e che io stessa ho usato come guida: “Una bella differenza” e “Il primo libro di antropologia” di Marco Aime, “Antropologia per insegnare” di Matilde Callari Galli e il lavoro svolto per la realizzazione della mostra didattica “Mai dire squola” a cura di Roberta Bonetti. Questi testi offrono molti spunti anche ai neofiti che vogliono cimentarsi nell’uso dello sguardo antropologico come strumento didattico. Conosco un paio di insegnanti delle scuole medie che hanno scelto questo filone e organizzano il programma didattico proprio a partire dall’antropologia. A questi si affiancano antropologi che si offrono nelle scuole per la produzione di laboratori didattici a tema interculturale, oltre a me, tra gli altri, anche “Ribaltamente APS” e “Antropolis”.

3) L’antropologia culturale è una scienza nuova o solo rinnovata? Si puo’ dire che abbia sostituito la vecchia filosofia ?

L’antropologia è una scienza relativamente giovane, nasce alla fine dell’Ottocento, ed essendo un sapere cumulativo si arricchisce e si rinnova continuamente con il cambiare dei tempi. Il rinnovamento è parte integrante della scienze sociali che non riuscirebbero ad affinare la lettura del reale se non adeguassero i propri strumenti ai cambiamenti socio-culturali.

Non credo che l’antropologia possa sostituire la filosofia, anzi ritengo che le discipline umanistiche e sociali, comprese anche la sociologia e la psicologia, considerate nel loro complesso e nella loro interazione, possano arricchirsi vicendevolmente e offrire spunti di riflessione interessanti nell’ottica dell’interdisciplinarietà. L’antropologia deve molto alla filosofia, nello studio del pensiero umano,  ma a differenza di quest’ultima lo declina agli aspetti socio-culturali, materiali e immateriali.
4) Esiste un rapporto fra modernità e antropologia?

Sì, esiste e, a mio parere, è sempre esistito. Generalmente si tende a considerare l’antropologia culturale come la scienza che si occupa solamente delle “tribù lontane”, delle cosiddette “società semplici” e di tradizioni ormai scomparse. In realtà si è sempre occupata della propria contemporaneità mantenendo uno sguardo al mutamento storico e all’altrove. Ha affrontato, in base al periodo e al contesto storico, la ricerca con metodi che talvolta hanno prediletto l’approccio storiografico. Però è, soprattutto oggi, la scienza del “qui” e dell’”adesso”, in particolare quella branca che è comunemente nota come antropologia della contemporaneità. Attualmente, e sempre più, l’antropologo studia il contesto in cui vive, in particolare nelle “società complesse”, quelle che consideriamo a tecnologia più avanzata. Si può affermare che esiste un rapporto continuo tra antropologia e modernità. L’antropologo vive, studia e rinnova il suo approccio alla ricerca in continuo evolversi e in simbiosi all’evoluzione della modernità. Inoltre, l’antropologia studia la modernità, non solo in considerazione di essa come “evento fisico” ed evoluzione in atto, ma anche come “evento teorico”, come teoria dell’immaginario sulla modernità. A questo proposito penso in particolare a “Modernità in polvere” di Arjun Appadurai, ormai divenuto un classico per le scienze sociali, in cui l’autore spiega proprio questo approccio degli studi antropologici contemporanei, al concetto di modernità nel tempo della globalizzazione.

5)Parlando della nostra attualità cosa pensa della nostra evoluzione culturale , in particolare in una società multietnica come potrebbe essere quella europea?

Io considero l’evoluzione culturale un fatto positivo. In Europa andiamo sempre più nella direzione della società multietnica che io considero un fattore di cambiamento arricchente sul piano socio-culturale. Non credo comunque si debba dimenticare che ogni società è multietnica. Nessuna cultura nasce o si mantiene “pura e autentica” come siamo abituati a considerare nell’immaginario sociale. Siamo lontani dall’idea della purezza della cultura. Piuttosto tutte le culture si evolvono nella “contaminazione” e nello scambio continuo che di volta in volta arricchisce e favorisce la nascita dei sincretismi. A questo proposito penso a “I frutti puri impazziscono” di James Clifford, un interessante testo che tratta di connessioni tra lavoro etnografico, letterario e artistico. Clifford parte da un saggio dada pubblicato nel 1923 il cui incipit recita: “I frutti puri d’America impazziscono…”, in cui l’autore, il poeta W.C. Williams, intende rappresentare il senso di frammentazione che gli comunica la modernità. Clifford utilizza questi versi per approfondire il concetto di modernità e tradizioni in frantumi, di perdita dell’autenticità e del senso di sradicamento che questo comporta.
Attualmente, siamo di fronte al continuo fiorire di immaginari sociali che difendono l’idea della cultura come fenomeno statico e a questo si associano forme di timore di “intaccamento” delle culture tradizionali e quindi di perdita dei valori. Queste paure, che sono sempre state presenti nel discorso pubblico, sono frutto di cambiamenti sociali e negli ultimi decenni sono state incrementate, in maniera particolare, anche dalla globalizzazione. Generalmente si pensa a quest’ultima come ad un fenomeno omologante e livellante invece, secondo approfonditi studi antropologici, proprio la globalizzazione ha dato il via ai localismi e rinvigorito le forme di attaccamento ad un ideale puro di identità socio-culturale. Questo, se da un lato rafforza e tiene vive le tradizioni, dall’altro produce immaginari irrealistici di autenticità. Per fare qualche esempio banale, noi siamo fieri della pizza e degli spaghetti, prodotti su cui abbiamo messo il copyright italiano, ma pare che la prima abbia origini arabe e i secondi siano nati nella tradizione cinese. Gli esempi sarebbero tantissimi: pensiamo ai numeri arabi e alla parola “tabù” che oramai è parte integrante del nostro vocabolario ma abbiamo importato dalle regioni polinesiane. Spesso, ciò che siamo abituati a considerare come “patrimonio autoctono”, perché col tempo abbiamo realmente fatto nostro, è frutto di stratificazioni e scambi che si sono succeduti nel corso degli eventi storici.

 

*Agostina Bua si laurea in lettere moderne con indirizzo demoetnoantropologico presso l’Università di Sassari e, sempre nello stesso ateneo, consegue il titolo di dottoressa di ricerca in antropologia culturale. I suoi principali interessi sono le fonti e la narrativa orale, la memoria, l’immaginario fantastico, le storie di vita, il mondo minerario e, ultimamente, l’istruzione scolastica e l’educazione.

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