“Io vuole imparare italiano bene”: questa frase è balzata (tristemente) agli onori della cronaca a pochi giorni dall’avvio dell’anno scolastico1. Parole che vengono pronunciate da un bambino straniero nella vignetta a corredo di un testo dedicato al ritorno a scuola e ai desideri espressi dagli alunni per il nuovo anno scolastico. La vignetta e i messaggi da essa veicolati sono stati immediatamente denunciati2 da alcuni insegnanti e organizzazioni; abbastanza prontamente, sono arrivate anche le scuse dell’editore e la garanzia di una modifica del testo.
La vicenda ci permette di riflettere, ancora una volta, su testi e immagini presenti nei libri adottati nelle scuole italiane, a partire dalla scuola primaria fino alle scuole secondarie di secondo grado. Ancora una volta perché, purtroppo, questioni di questo genere sembrano presentarsi in maniera ciclica, seppur con alcune “variazioni sul tema”: dai testi che “spiegano” i movimenti migratori contemporanei utilizzando in modo del tutto superficiale (o meglio, scorretto) termini come profughi e immigrati3, ai tanti testi denunciati in quanto perpetratori di stereotipi di genere4.
COME SI AFFRONTA IL TEMA DELL’INTERCULTURALITÀ?
Volendo qui limitarci a riflettere sulle tematiche “interculturali”5 e sul modo in cui esse vengono presentate nei libri di testo, vale forse la pena fare riferimento a quelle che sono le linee guida attualmente in vigore per la scuola primaria coinvolta nelle questioni citate, le “Indicazioni nazionali per il curriculo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione”6, nelle quali viene dato risalto all’intercultura a partire dalla sezione “Cultura scuola persona”:
“Ogni singola persona, nella sua esperienza quotidiana deve tener conto di informazioni sempre più numerose ed eterogenee e si confronta con la pluralità delle culture. Nel suo itinerario formativo ed esistenziale lo studente si trova ad interagire con culture diverse, senza tuttavia avere strumenti adatti per comprenderle e metterle in relazione con la propria. Alla scuola spetta il compito di fornire supporti adeguati affinché ogni persona sviluppi un’identità consapevole e aperta.” E ancora: “Una molteplicità di culture e di lingue sono entrate nella scuola. L’intercultura è già oggi il modello che permette a tutti i bambini e ragazzi il riconoscimento reciproco e dell’identità di ciascuno”.
A fronte di un panorama scolastico sempre più eterogeneo, in cui la presenza degli alunni con cittadinanza non italiana7 è pari al 9,7% della popolazione studentesca complessiva8, gli insegnanti di ogni ordine e grado scolastico si confrontano ormai da anni con le tematiche interculturali, con le questioni che riguardano il confronto con l’Altro, sia all’interno delle stesse classi sia con riferimenti sempre più necessari alla società civile. Numerosi sono i corsi di formazione e le pubblicazioni in merito, centrale è la questione dell’inclusione scolastica degli alunni stranieri9; come è possibile allora che al fianco di norme e riflessioni teoriche ben presenti nel contesto scolastico co-esistano testi che così goffamente (a non voler pensare male) si approcciano a tematiche tanto importanti quanto complesse?
Riflettendo su ciò che accade – quasi – ogni nuovo anno scolastico, ci sembra che questo sia uno dei molteplici episodi in grado di mettere in luce, da un lato, un problema “strutturale”, profondo e radicato, che non riguarda solo la scuola o l’educazione: quello cioè di un diffuso pregiudizio negativo nei confronti degli stranieri che si trovano in Italia (che sempre più frequentemente e in modo preoccupante sfocia in espliciti atti di razzismo). Dall’altro lato, la questione della scelta da parte dei docenti dei libri di testo; così come quanto questi libri rispecchino una vox populi e un sentimento diffuso, basato molto spesso sull’ignoranza, che porta ad attribuire caratteristiche alle persone sulla base di una presunta cultura di appartenenza, alimentando un’immagine dell’Altro da sé fuorviante e superficiale.
IL RUOLO DEL DOCENTE E QUELLO DELL’ANTROPOLOGIA
Nelle tante discussioni sorte intorno ai libri scolastici rischia però di rimanere in secondo piano il ruolo del docente, non un passivo ricettore del testo, ma responsabile dello stesso, non solo nell’adozione, ma anche nel momento in cui i suoi contenuti vengono discussi in classe; non si tratta infatti di “trasmettere informazioni”, in un rapporto a senso unico, ma della possibilità di co-costruire nuovi significati nel confronto tra docenti e studenti. “Dubitare del libro” può essere un momento di alta formazione, insegnando così un approccio critico ai testi e la comparazione dei contenuti presenti. Quale luogo migliore della scuola per riflettere e discutere di questi argomenti?
Non si può infine prescindere dall’interrogarsi sulla formazione stessa dei docenti: scuola e insegnanti hanno probabilmente la più grande responsabilità intellettuale nella società contemporanea: quello di fornire gli strumenti adatti alla riflessione critica. L’antropologia culturale – con il suo sapere e la sua metodologia – può e deve arricchire la formazione dei docenti, promuovendo capacità di osservazione, di ascolto, di sviluppo del senso critico nei confronti del proprio punto di vista e del rapporto con l’Altro.
Consapevoli di quanto di buono è stato fatto e si fa all’interno delle aule scolastiche, sappiamo però che un tale bagaglio non può essere affidato semplicemente alla sensibilità personale, né a corsi di formazione o alle poche ore di didattica specifica. Servono competenze eterogenee e qualificate, e interventi costanti e strutturati su tutto il territorio affinché la scuola sia un luogo di reale sviluppo, inclusione e trasformazione sociale e occorre che gli insegnanti non restino soli in un sistema che troppo spesso non li supporta con strumenti adeguati.
UNA RISORSA PER LA DOCENZA
Sapere e saper fare propri dell’antropologia possono divenire efficaci risorse per il corpo docente tutto, sia per coloro che hanno vissuto in prima persona i cambiamenti avvenuti negli ultimi vent’anni nelle nostre aule, sia per chi sta iniziando a intraprendere la professione. L’acquisizione di competenze necessarie nell’attuale sistema scolastico multilingue e multiculturale non può più essere considerato un valore aggiunto del docente, ma deve essere parte di quei requisiti minimi di conoscenze e competenze. Auspichiamo quindi la presenza costante di antropologi professionali sia nella formazione dei neo docenti, sia nella formazione permanente.
Come antropologi e antropologhe professionali, non vogliamo e non possiamo tacere su questo come su altri avvenimenti che quotidianamente si presentano nella nostra società, e ci sentiamo chiamati a denunciare ogni forma di razzismo, più o meno esplicito, più o meno consapevole. Come scienziati sociali vogliamo contribuire all’individuazione e decostruzione dei pregiudizi mettendo in campo il sapere antropologico necessario a questi tempi, in cui tutti siamo partecipi della costruzione di una società in continuo mutamento.
2 Denuncia che non deve correre il rischio di essere “solo” mediatica, senza dare seguito a riflessioni più approfondite.
3 https://www.internazionale.it/bloc-notes/annalisa-camilli/2017/10/25/sussidiario-clandestino
5 Utilizziamo questo termine senza poterne qui approfondire i tanti nodi critici e le varie declinazioni.
6 Adottate dal 2012, riprese e ampliate nel documento del 2018 “Indicazioni nazionali e nuovi scenari.
7 Consapevoli del fatto che tra gli alunni con cittadinanza non italiana gran parte è vissuta fin dalla nascita in Italia.
8 I dati dell’ultimo approfondimento pubblicato dal Miur# nel 2019 si riferiscono all’anno scolastico 2017/2018.
9 Tra gli alunni BES – Bisogni educativi speciali – ad esempio possono essere annoverati gli alunni stranieri neoarrivati in Italia.